Articolo apparso sul numero di febbraio 2016 di MONDO IES di dott.ssa Giovanna Corona
Era il 13 dicembre 2014, quando
entrò in vigore il Regolamento Europeo 1169/2011, che riguardava
l’etichettatura dei prodotti alimentari e i criteri da adottare per indicarne
gli ingredienti. Un Regolamento Europeo, quindi valido in tutti i paesi membri,
compresa l’Italia.
Tra le regole introdotte per
l’etichettatura, una fece più rumore di tutte: l’obbligo, da parte dei
produttori, di indicare la tipologia degli oli presenti, precedentemente
indicati con la locuzione generica “oli vegetali”. Dal 13 dicembre in poi,
avrebbero dovuto specificare se si trattava di olio di semi, olio di girasole
o, ad esempio, olio di palma.
L’olio di palma, già in passato,
era stato duramente criticato per le sue proprietà nutrizionali, ma verso la
fine degli anni ’80 la polemica era andata scemando. In compenso gli anni ’90
hanno visto una notevole produzione scientifica riguardante questo prodotto e
l’entrata in vigore del Regolamento Europeo ha rimesso di nuovo tutto in
discussione.
Per quale motivo? Cos’è l’olio di
palma e perché fa tanta paura? Il grasso di palma (denominazione più corretta
in quanto a temperatura ambiente si presenta allo stato solido e non liquido) è
un grasso vegetale saturo non idrogenato, estratto attraverso vari processi di
tipo industriale dai frutti delle palme da olio. Alla fine della lavorazione se
ne ricava un olio di colore rossastro, dovuto alla massiccia presenza di beta
carotene. Trattandosi di un acido grasso saturo a lunga catena (16 atomi di
carbonio), alcuni studi hanno portato alla conclusione che la sua assunzione
possa aumentare i livelli di colesterolo LDL (il cosiddetto “colesterolo
cattivo”) nel sangue ed aumentare, quindi, anche il rischio cardiovascolare. A
questi, però, nel tempo, si sono contrapposti altri studi che, invece, hanno
“scagionato” l’olio di palma dal rischio di aumento del colesterolo LDL, in
quando esso contiene anche il 38% di acido oleico, noto anche con il nome omega
– 9, che è, invece un grasso protettivo. Al momento attuale, la discordanza tra
le conclusioni dei vari studi non ha ancora portato ad un giudizio definitivo
riguardo agli effetti sulla salute dell’olio di palma, in relazione agli altri
acidi grassi saturi (olio di cocco, olio di semi, ecc). Ciò che è certo, è che
con gli acidi grassi insaturi (soprattutto monoinsaturi, tra i quali ricordiamo
l’olio extravergine di oliva), non esistono diatribe ed il loro effetto sulla
salute è benefico (grazie alla presenza dei polifenoli che tendono ad abbassare
il livello di colesterolo LDL nel sangue).
Il vero problema legato all’olio
di palma è l’abuso che se ne fa nella vita quotidiana. Poiché la sua produzione
comporta un basso costo, è utilizzato tantissimo sia come ingrediente in
prodotti alimentari da forno e confezionati, ma anche come ingrediente
cosmetico, all’interno di saponi e creme.
La maggior parte della
popolazione consuma più volte al giorno prodotti confezionati e prodotti da
forno (fette biscottate, biscotti, merendine, derivati del pane) ed utilizza
cosmetici, esponendosi ad un accumulo di olio di palma all’interno del proprio
organismo.
Dopo il 13 dicembre 2014, con
l’evidenziazione in etichetta della presenza di questo ingrediente, molti hanno
orientato le proprie scelte verso prodotti privi di questo olio vegetale,
spinti anche dal tormentone mediatico utilizzato dalle aziende produttrici
stesse per pubblicizzare i propri prodotti “senza olio di palma”.
Ma se non c’è olio di palma cosa
c’è in questi alimenti? In genere olio di girasole, olio di semi, burro,
margarina che sono ugualmente acidi grassi saturi (il burro di origine animale,
gli altri di origine vegetale), che, in quanto tali, hanno sul sangue gli
stessi effetti dell’olio di palma. Anzi, ad un confronto più attento, l’olio di
palma che mantiene il suo colore rossiccio (quindi non raffinato
eccessivamente) contiene anche caroteni, coenzima Q10 e vitamina E, che, tutto
sommato, sono sostanze utili al nostro organismo, particolare non sempre
riscontrabile nei suoi sostituti.
Quindi il problema non può essere
risolto?
Il problema può essere risolto
ricorrendo alle buone prassi di sana alimentazione, ovvero, cercare di
incentrare le proprie scelte verso alimenti più naturali e meno industriali,
riservando ai prodotti confezionati solo alcune occasioni. Se abbiamo
l’abitudine di far colazione con delle fette biscottate, ma per il resto della
giornata evitiamo di consumare altri prodotti da forno derivati e ci
focalizziamo su un consumo di pane e cereali integrali, scegliamo spuntini
“fatti in casa” o a base di frutta e verdura, utilizziamo carne, pesce,
formaggi, latticini e uova freschi, la presenza o meno dell’olio di palma a
colazione sarà pressoché ininfluente.
Ma il problema dell’olio di palma
non è solo di tipo nutrizionale. Poiché la produzione di olio di palma ha un
costo relativamente basso, rispetto alle altre produzioni, a livello di mercato
la richiesta è molto alta, per cui è necessario aumentare la coltivazione delle
palme, di cui la gran parte è effettuata in Malesia. Questa grande richiesta ha
favorito il disboscamento della foresta tropicale, poiché è lì che le
condizioni climatiche consentono la crescita di tale pianta, ma ha anche
favorito processi di rifertilizzazione del suolo che vengono attuati attraverso
incendi appiccati alla foresta stessa. Questi fenomeni sono andati via via
aumentando, fino a generare anche problemi di tipo sociale (ad es. limitazione
del traffico aereo a causa della poca visibilità in atmosfera dovuta al fumo
dei roghi).
A fronte delle polemiche sorte
negli ultimi anni, che sono sfociate anche in petizioni ufficiali per l’arresto
di queste bad practises agricole, il Malaysian
Palm Oil Council (appunto,
il maggior produttore in Malesia) ha iniziato ad attuare delle politiche di
riduzione di impatto ambientale ed ultimamente ha avviato anche le procedure
per ottenere delle certificazioni di sostenibilità.
Poiché, però, anche la produzione delle altre
tipologie di oli vegetali non di palma genera problemi di sostenibilità (seppur
di livello inferiore), il consiglio da poter dare è sempre lo stesso:
innanzitutto informarsi sempre al meglio, sia a livello mediatico, attraverso
fonti accreditate, sia a livello specifico, prendendo l’abitudine di leggere
bene le etichette e comprendere cosa davvero contiene il prodotto che stiamo
per consumare; inoltre è importante mantenere uno stile di vita (e, quindi,
anche di alimentazione) sano, equilibrato e vario. E’ preferibile che i
prodotti industriali integrino la
nostra alimentazione e non ne diventino i componenti principali. In questo modo
possiamo ridurre al minimo l’assunzione (e quindi anche gli effetti) di
sostanze non proprio salutari e limitiamo lo sfruttamento smisurato e fuori
controllo dell’ambiente, anche di quello che non ci tocca da vicino perché
lontano da noi migliaia di km. A proposito, quando possibile, per dare una mano
all’ambiente, scegliamo il km zero.
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